«Ciao Gabriele, io ho scelto il silenzio per ricordare il tuo sorriso: che dolore!»
Dobbiamo il massimo rispetto ai giovani. Lo diceva il poeta Giovenale.
Quel rispetto che i giovani non avvertono più, non ricevono più da tempo, e che desiderano, che anelano, fortemente; di cui ne sentono il profondo bisogno. Io ho vissuto e vivo tutt’ora con i giovani, mi confronto con loro,
cerco di comprendere le ragioni del loro disagio sociale.
Sono ragazzi sensibili, fragili, generosi, che spesso si prodigano per aiutare il prossimo, che lottano per ritagliarsi un futuro sereno, che sognano un mondo leale, giusto, trasparente, sicuro, uguale per tutti. Quegli stessi ragazzi che animati dalla passione sfrenata per il calcio
la domenica, alimentano la loro fede sostenendo i colori della propria squadra, dei propri idoli.
Perché loro hanno bisogno di esempi positivi, di chi li sostenga nel percorso della loro crescita umana, sociale e poi professionale. Sono i figli di una grande famiglia, lo Stato che dovrebbe costruirgli attorno
le certezze e le speranze del domani, perché loro rappresentano il nostro domani.
E invece troppo spesso proprio chi dovrebbe aiutarli, inserirli nella società contemporanea, supportarli nei loro progetti sociali li abbandona
in un indifferenza che determina il peggiore dei mali del terzo millennio. Ho visto negli occhi addolorati di tanti ragazzi che salutavano per l‘ultima volta Gabriele la sofferenza e la lacerazione di chi non sa darsi una
plausibile spiegazione ad una tragedia inaccettabile, incomprensibile, as- surda. Perché non c’è mai una ragione che possa alleviare il dolore per una giovane vita che viene spezzata a soli 28 anni, perché non ci sono risposte a domande che resteranno tali per l’eternità, e si perderanno nell’oblio dell’irreale. Sto provando lo stesso dolore
anche io in questi momenti di profonda commozione e di grande smarrimento, perché mi sento uno di loro, perché come
loro capisco le difficoltà che vivono e perché come Gabriele so quanta sensibilità e quanta voglia di vivere c’è
in ciascuno di loro.
Quantà bontà, quanta ricchezza interiore. Ho visto bambini piangere, guardare con gli occhi spauriti un orizzonte
che non c’è, cercare disperatamente un bagliore di luce che oggi ha lasciato lo spazio al buio, alle inquietanti
tenebre della paura e della disperazione. E’ a loro che dobbiamo riporre la nostra fiducia, in loro dobbiamo credere,
portare il nostro rispetto e stringerci per far si che si possa tornare a vivere le gioie quotidiane di una vita vera.
Quelle stesse sensazioni e speranze che proprio ieri mia figlia Ludovica, appena quindicenne, abbracciandomi in lacrime,
mi implorava che accadesse. Mi ha fatto leggere le parole scritte dal suo cuore perché non aveva più parole da proferire…
Perchè tutti i giovani, i suoi coetanei, possano credere e lottare per impegnarsi a modificare il corso della vita e delle
generazioni che verranno. Ma in questo percorso non dovranno essere soli. Mai! E come scritto in questa poesia che non
debbano mai più interrorgarsi sul perché di un click, di un bang, di uno sparo!
Ciao Gabriele, sai ognuno nella vita vive il dolore a proprio modo.
Io ho scelto il silenzio della riflessione, per ricordare Uno splendido ragazzo come Te.
Non ci siamo mai conosciuti ma, attraverso il racconto di tanta gente che ti amava e di ciò che hai trasmesso ai giovani
con le tue passioni, ho imparato a volerti bene, proprio come un caro vecchio amico.
D’altronde bastava guardare il tuo sorriso, la profondità del tuo sguardo, per capire che persona eri.
Di solito i grandi artisti fanno gioire, appassionare in vita, cosi come disperare quando vengono a mancare.
Tu sei riuscito in tutto questo con la semplicità del ragazzo perbene , parte fondamentale di una famiglia dai grandi valori.
E dalla dignità esemplare.
Per questo ci lasci un dolore immenso!
Che hai combinato Gabriè… Paolo Di Canio